Scienze MMFFNN Documento su linee guida Governo
Il Consiglio della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, nell’adunanza del 27 novembre scorso ha, unanimemente, approvato un documento
contenente delle considerazioni sulla situazione dell’Università alla luce del D.L. 10.11.2008 n° 180 e delle “linee guida del Governo per l’Università”
L’accavallarsi di provvedimenti parziali e l’aver anteposto le pur motivate esigenze di bilancio alla valutazione dei costi della riorganizzazione dell’Università rischia, di fatto, di svuotare di significato qualsiasi tentativo di reale ed efficace riforma del Sistema Universitario Pubblico, ponendo serie ipoteche per un ulteriore fallimento del tentativo lodevole di promuovere il merito e di migliorare la qualità della Ricerca e della Didattica.
L’embrione del fallimento futuro è impiantato nel primo paragrafo della “linee guida del governo per l’Università” nel quale il riferimento agli standard europei e al “gap di competitività nei confronti dei principali partners europei” contrasta in maniera palese con le politiche di bilancio messe in atto, i cui effetti saranno un ulteriore aumento del “gap dei finanziamenti” rispetto agli altri paesi fondatori dell’Unione. La conseguente articolazione delle “linee guida”, condivisibile pienamente nei principi, molto meno nelle analisi e ancora meno nelle azioni prioritarie, da un lato introduce elementi di forte liberalizzazione dell’Università Pubblica, ma dall’altro manifesta la volontà di riproporre i vincoli di un controllo “politico” e “centralistico” su alcuni aspetti fondamentali per il funzionamento delle Università Pubbliche, quali il reclutamento, la governance, l’offerta formativa.
Questi delicati aspetti, strategici per lo sviluppo dei singoli Atenei, dovrebbero essere più coraggiosamente destinati alla competenza esclusiva, nell’ambito di regole generali su standard europei, delle singole sedi. Di fatto, le “linee guida” ancora una volta non sciolgono chiaramente il nodo fondamentale che ha ingessato l’Università Pubblica negli ultimi 20 anni, ovvero la piena definizione ed applicazione dell’Autonomia delle Università.
In questo momento storico di rapida evoluzione della società e di forte competitività globale, nessuno tra quelli che hanno come obiettivo la salvaguardia dell’Università Pubblica in Italia deve sottrarsi alla “richiesta di rinnovarsi, rendersi trasparente nella condotta e nei risultati, dimostrare con la forza dei fatti di saper progettare un futuro ambizioso”. Gli Atenei, ed in particolare le Facoltà tecnico-scientifiche, devono candidarsi a promotori del cambiamento, accettando regole chiare e trasparenti di valutazione e di accreditamento dettate dal ministero, ma rivendicando alla loro piena autonomia le scelte su forme di governo, sulle modalità di selezione degli organici, sulla programmazione delle strategie nel campo della ricerca e della didattica.
In questo senso, nelle “linee guida” s’individua un vizio di metodo che fa discendere le priorità della programmazione futura dall’analisi delle disfunzioni di un sistema obsoleto, piuttosto che dall’individuazione delle nuove esigenze di una società moderna ed in rapida evoluzione. Questo tipo di approccio prelude ad interventi che mireranno a rendere difficili, senza rimuoverne le reali cause, i comportamenti aberranti, lasciando insolute le richieste e le aspettative di chi lavora per l’ottimale funzionamento delle Università ed invariati tutti i vincoli “burocratico-statalisti” che hanno fin qui impedito la reale competitività dell’Università Pubblica in campo europeo. Sarebbe invece opportuno mettere in atto sin da subito una politica di reale autonomia e responsabilizzazione dei singoli Atenei, da cui fare dipendere l’entità del finanziamento pubblico, che consenta il decollo delle sedi meritevoli, definite tali non solo perché hanno rispettato vincoli di bilancio, ma soprattutto perché hanno conseguito risultati prestigiosi sia dal punto di vista della didattica che della ricerca. Solo attraverso questo tipo di politica è possibile ipotizzare una ripresa della competitività sia in campo internazionale che in campo nazionale.
In un contesto di competitività globale e in riferimento ad una sempre maggiore predisposizione dei giovani alla mobilità, è assolutamente aleatorio poter solo ipotizzare l’attrazione dei giovani migliori non incentivata da retribuzioni adeguate, da prospettive di avanzamento delle carriere certe e basate su criteri meritocratici e dal miglioramento complessivo dei servizi messi a disposizione per la ricerca e la didattica.
I tagli previsti nella legge n. 133/2008, presentati all’opinione pubblica come intervento per incidere sugli sprechi delle Università, andranno, nelle realtà in cui circa il 90% delle risorse sono impegnate in spese fisse, ad incidere esclusivamente sulla qualità dei servizi per la ricerca e la didattica e quindi sulla qualità dei risultati che andranno sicuramente a peggiorare.
I provvedimenti sul turn-over della stessa legge, poi parzialmente modificati dal DL 180, presentati come interventi necessari per ripristinare una “piramide” gerarchica tra i ruoli esistenti, non solo guardano al futuro in maniera contraddittoria e con gli occhi del passato, ma soprattutto non tengono conto degli effetti negativi dei vincoli imposti sugli avanzamenti di carriera. Essi, infatti, penalizzano, demotivandoli definitivamente, chi, tra i professori associati e ricercatori, in questi anni ha contribuito, con la ricerca scientifica, con carichi didattici aggiuntivi e supplenze gratuite, al normale funzionamento dei corsi di laurea andando ben oltre quanto richiesto per legge. Non si capisce poi, ad esempio, con quale criterio per combattere arbitri e nepotismi viene tolta la possibilità di voto sia agli associati che ai ricercatori, togliendo a queste fasce la possibilità di incidere sulle scelte future e facendo un passo indietro di diversi decenni. Questi stessi provvedimenti avranno anche l’effetto di disincentivare i migliori ad entrare nel sistema universitario pubblico italiano, in quanto poco attratti da prospettive di una lunga carriera di ricercatore universitario, per di più sottopagati rispetto alla media degli altri paesi europei. Essi inoltre contribuiranno ad aumentare il numero di ricercatori meritevoli che trovano fortuna e fama all’estero, aumentando la dispersione di un patrimonio culturale che, nonostante tutto, è oggi ancora valido e con molte punte di eccellenza, come evidenziato da diverse fonti autorevoli.
In tal senso, per il futuro servirebbe una rivoluzione molto più coraggiosa dello stato giuridico dei professori universitari, improntata a pochi ma chiari e condivisi principi fondamentali.
Il nuovo stato giuridico dovrebbe essere chiaramente inquadrato nel contesto di regole generali rispondenti ai canoni europei più avanzati, fissate dal Ministero, che regolino i requisiti minimi di qualificazione per l’immissione in ruolo, per i successivi avanzamenti di carriera ed i criteri per la valutazione e l’accreditamento degli Atenei.
La possibilità di una governance efficace è fondamentale per la competitività degli Atenei. Si auspica che i futuri provvedimenti legislativi deleghino alle singole Università la possibilità di definire le forme di governo più adeguate alla realtà territoriale in cui esse operano e alle proprie specificità scientifico-culturali, senza alcun intervento invasivo di vincoli burocratici dettati dalla politica centrale.
La varietà dell’offerta formativa costituisce, per il sistema paese, una ricchezza da valorizzare ulteriormente, piuttosto che un male da rimuovere, come riportato nelle “linee guida”. La nuova Università deve fornire una robusta formazione di base e deve salvaguardare le “punte di eccellenza” connesse alle specificità culturali delle singole sedi. Per il futuro è necessario amplificare la mobilità degli studenti e favorire scelte consapevoli dei percorsi formativi offerti, mediante il potenziamento ulteriore degli interventi a favore del diritto allo studio. Questo non deve essere solo diritto ad accedere ad un corso di laurea, ma il diritto a poter scegliere il corso di laurea più adatto alle proprie aspettative. Interventi in questo senso avrebbero ricadute positive sia sul contenimento degli abbandoni degli studenti che nell’introdurre una cultura della mobilità nei futuri ricercatori italiani. Il diritto allo studio deve tradursi anche nel diritto ad uno studio migliore.I componenti della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. dell’Università di Catania accettano la “sfida a migliorare il sistema” universitario, ma richiamano il governo e la politica nazionale a mantenere gli impegni a dare al paese “un’università più libera, più moderna, più forte”, che potranno essere onorati solo attraverso un radicale cambiamento nella politica degli investimenti in istruzione e una piena applicazione dell’Autonomia Universitaria.
A tal fine, si auspica che nel futuro vi sia il pieno coinvolgimento nel dibattito dell’Università “reale”, al di là delle varie rappresentanze a livello nazionale, il cui ruolo fondamentale non può essere comunque ritenuto pienamente esaustivo.I componenti della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. dell’Università di Catania, riconoscendo ed esprimendo gratitudine al Magnifico Rettore per gli sforzi fin qui prodotti per limitare i danni derivanti dai tagli delle risorse, lo invitano, anche in quanto componente della Giunta della CRUI, a condividere e a farsi portavoce, in tutte le sedi, delle istanze di reale cambiamento e della disponibilità a portarle a compimento, espresse in questo documento.
Alfio Russo