“Cattura” e “Isola”

Data:
14 Giugno 2012

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Lunedì 18 giugno alle 20, nel Coro di Notte del Monastero dei Benedettini, prosegue la rassegna Cinema Segre(ga)to con le proiezioni dei film di Alessandro De Filippo Cattura (2006) e Isola (2011). La presentazione, curata da Ivano Mistretta e Carlo Monteleone, sarà introdotta dal sen. Pietro Mercenaro, direttore della Commissione Diritti Umani del Senato.

Cattura. Catturare il criminale che ha delinquito. Condannarlo a espiare la sua pena. Vuol dire separare il bene dal male. Proteggere il bene dal male. Riconoscere il male e negarlo allo sguardo. Negargli una voce, proibirgli la parola. Ma cos’è il bene senza il male? Qual è la sua identità, l’intima sua radice di confronto e di contrasto? Qual è il suo confine?

Isola. L’idea di isola nasce da un progetto del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Racconta la vita di Angelo e Carmelo Guidotto, due fratelli condannati all’ergastolo, con «sentenza passata in giudicato» (definitiva), e all’isolamento diurno.Quella dell’isolamento diurno è una legge che risale al codice Rocco (1930), di matrice fascista, che però viene ancora adottata dal nostro codice penitenziario.

L’isolamento diurno nelle parole di Carmelo che spiega, teorizza, raccoglie idee e impressioni, cerca di raccontare, narrare, descrivere. L’isolamento diurno nei gesti, nei movimenti reiterati e insensati e disperati e assurdi di Angelo. Attese e rinunce. In silenzio. Due fratelli, condannati all’ergastolo. La sentenza definitiva stabilisce: fine pena mai. Non si esce, non se ne esce. È un labirinto di passioni sorde, che implode senza emozioni apparenti. Un sorriso di circostanza forse, una pausa d’attenzione: Carmelo cerca le parole giuste. Angelo scende al passeggio, va in palestra, legge un libro di Terzani, ascolta le canzoni alla radio, guarda i cartoni animati in televisione, prepara il caffè. È tutto protetto e rarefatto dentro la scatola di ferro e cemento. C’è tutto, ma è come lontano, sfumato, disperso, un miraggio sfocato, l’illusione di un sogno confuso. La regola del silenzio. La consegna del silenzio. Rumori in lontananza. Sempre gli stessi. Voci lontane, chiamano, salutano, indicano, assegnano. Voci lontane, ovattate. Rumori sordi. Battitura ferri. Serrature scattano molle a chiudere, aprire, chiudere. C’è la famiglia Griffin in televisione; Neffa o Cocciante o Ligabue alla radio. E un uomo, controluce, in piedi, davanti alla finestra.

La rassegna. Il cinema dà forma visibile ai sogni e agli incubi. Sul set accadono tutti i desideri e tutte le paure. Quando in sala si spengono le luci, comincia il viaggio dello sguardo nei non-luoghi dell’immaginazione spettacolare. Si perde il contatto con la propria quotidianità noiosa e inconcludente, per celebrare la libertà pura, quella del pensiero, veicolata da immagini, suoni e parole, raffigurata dal cinema.
L’esperimento di Cinema segre(ga)to si propone come un dialogo che è intenzione e attenzione. Intenzione sull’altro, attenzione per l’altro. Altro uomo, altra persona. Persona che non detiene, ma è detenuta, che non aspira a entrare in un gruppo, che vorrebbe essere individuo, urlarsi individuo e individuarsi: invece è intruppato, chiuso in sezioni, in bracci, in piani, in celle. Ha delinquito, è stato giudicato, sconta una pena. E in tutto questo c’è la realtà, i colloqui con la famiglia, le perquisizioni ordinarie e straordinarie, la scuola carceraria, il passeggio, gli agenti, il cappellano, l’educatore, il direttore. C’è la realtà di incontri e di scontri, di solidarietà e di diffidenza, di amore fraterno e di rancore. La realtà segregata e segreta, di un altro luogo. Chiuso.

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