Periferie talmente vicine
Recensione di “The Suburbs” degli Arcade Fire – Agosto 2010 – Merge.
Il concetto di periferia negli ultimi anni ha assunto un valore molto importante per progettisti e sociologi urbani. All’inizio del secolo Zygmunt Bauman ci dice che periferia non è più elemento di contrasto con il “centro”, ma integrazione, contatto, completamento.
Il suburbio non è solo margine, ghetto ed esclusione, ma luogo dove nascono le idee più innovative, dove si fomenta il cambiamento, si sperimenta il diverso, il disuguale, il disordine creativo.
Gli Arcade Fire in questo senso sono perfettamente suburbani. Vengono dal Canada, da sempre considerata la periferia culturale degli Stati Uniti, ma allo stesso tempo vera e propria fucina creativa del rock contemporaneo (Black Mountain, Japandroids…). Malgrado appartengano con orgoglio al movimento “indie”, sono tra i gruppi più coverizzati ed apprezzati in ambito mainstream (U2, Coldplay…) e conosciuti dalla generazione youtube (una loro canzone ha fatto parte di uno spot trasmesso nella pausa del Superbowl).
“The Suburbs” è dunque lavoro che non ammette dubbi, un disco che parla interamente di periferia (a tal punto che a molti è sembrato un concept) e della periferia declina ogni pregio e difetto, potenzialità e limite. Un album descrittivo, ricco di paesaggi inquieti e struggenti. Scorci di realtà sonore che partono dal rock e virano in maniera quieta, ma decisa, al folk, all’elettronica, al blues, al punk biascicato. La fascinazione per la musica inglese degli anni ’80 è molto presente e si coglie dal richiamo quasi incessante che Will Butler e famiglia propongono nei 15 brani.
Insomma, rispetto a “Funeral” e “Neon Bible” (i due dischi precedenti), molta più varietà di suoni, forieri di una evoluzione verso la maturità stilistica del combo di Montreal. Certo, lo zoccolo duro dei fans della band storcerà naso, bocca e occhi ricordando i fasti crudi e puri dei nostri. Ma chi non evolve muore e gli Arcade Fire hanno appena iniziato il loro percorso di conoscenza diretto al pluriverso dei suoni e degli ambienti musicali differenti. Del resto il loro è art-rock, non death metal. La contaminazione, l’apertura, la complessità degli arrangiamenti e delle liriche sono peculiarità fondamentali per definirsi e comunicare.
E allora non resta che sedersi di fronte allo stereo per iniziare questo viaggio sonico (vaticinato anche dalla copertina che mostra il retro di un auto), fra i sobborghi della modernità musicale ed urbana, con una musica dai pochi svincoli e molte curve dolci, meno vicoli e più viali, con più case che mall. Un disco poetico e struggente come certi tramonti su cortili in cemento solcati da bambini che giocano a pallone.
Salvo Messina