Docenti fuori ruolo, la sentenza della Corte Costituzionale
La Corte costituzionale, nei giudizi promossi dal T.A.R. Sicilia, sezione staccata di Catania, e dal T.A.R. del Lazio, si è di recente pronunciata (con sentenza del 24 luglio 2009, n. 236) in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge finanziaria 2008,
ai sensi del quale “A decorrere dal 1º gennaio 2008, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è ridotto a due anni accademici e coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel terzo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1º gennaio 2009, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è ridotto a un anno accademico e coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1º gennaio 2010, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è definitivamente abolito e coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico”. Più precisamente, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma di legge, «nella parte in cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato disposto il collocamento fuori ruolo con formale provvedimento amministrativo e che hanno iniziato il corso del relativo periodo».
La previsione normativa della Finanziaria 2008 in materia di collocamento fuori ruolo dei docenti universitari, fin dalla sua entrata in vigore, ha prodotto forti perplessità all’amministrazione dell’Università di Catania. A differenza di altri atenei, che hanno dato immediata applicazione alla norma, producendo il pensionamento anticipato dei docenti già posti fuori ruolo e interessati dalla disposizione della finanziaria 2008 che ne riduce la durata, l’Ateneo di Catania – con delibere del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione, entrambe del 14 ottobre 2008 –, al fine evitare il prodursi e il perpetuarsi di ogni forma di contenzioso con i propri docenti “anziani”, ha ritenuto opportuno sospendere, nel 2008 e nel 2009, anche alla luce dei pronunciamenti dei TAR del Lazio e di Catania, l’applicazione della normativa sospettata di illegittimità costituzionale, in attesa del pronunciamento del Giudice delle Leggi; con ciò consentendo la permanenza in servizio dei docenti già collocati fuori ruolo fino allo spirare del termine consueto di tre anni accademici. Ebbene, tale atteggiamento, coraggioso ed oculato, dell’Ateneo catanese ha trovato ora pieno riscontro nella recente sentenza della Corte costituzionale; si sono così evitate liti inutili e spese superflue all’amministrazione universitaria, che si sarebbe trovata oggi soccombente negli eventuali giudizi amministrativi avviati dai docenti interessati.
«Esprimo grande soddisfazione – commenta il rettore dell’Università di Catania Antonino Recca – di fronte ad una sentenza della Corte costituzionale che conferma la correttezza della linea seguita dagli organi di governo dell’Ateneo. Ringrazio il gruppo di giuristi che opera nel contesto e a supporto dell’amministrazione universitaria catanese, nonché gli uffici amministrativi coinvolti nella procedura, per avere saputo individuare e suggerire una soluzione rispettosa del diritto e, al tempo stesso, delle situazioni soggettive, che sarebbero state gravemente compromesse da un’applicazione meno accorta di una norma oggi riconosciuta costituzionalmente illegittima».
«Pur di fronte alla crisi finanziaria del sistema universitario nazionale – prosegue Recca –, l’Università di Catania ha dimostrato di sapere riconoscere subito le ragioni degli aventi diritto, anche quando tale riconoscimento è causa di un immediato esborso per le casse dell’Ateneo. La situazione di bilancio è, tuttavia, tale da costringere l’Ateneo, come peraltro avviene in tutte le altre università italiane, a dire di no a quei docenti che hanno chiesto di prolungare di un biennio la propria permanenza in servizio, avendo già raggiunto il limite massimo di età per il collocamento a riposo».
Alfio Russo